Roma, 24 giugno, caldo che scioglie l’asfalto, città che si svuota per il ponte di San Pietro e Paolo.

In una stanza 4 x 4 di via Reggio Calabria c’è lui, il fuorisede calabrese.

Il ventilatore gira e rigira, ma non serve a rinfrescare l’ambiente, i grilli friniscono fuori dalla finestra, sul materasso la sagoma della sua schiena sudata.

È in questo contesto ambientale che matura la decisione più difficile: uscire di casa e trovare refrigerio da qualche parte.

“Va bene pure Ostia!”

Ed è così che il nostro eroe si reca alla metro sotto casa, quella – manco a farlo apposta – di Piazza Bologna e prende la direzione del mare.

Quel litorale romano tanto odiato, ma anche tanto desiderato.

Amore e odio di migliaia, che diciamo milioni, di romani e fuorisede.

Sentimenti contrastanti che derivano principalmente dal traffico congestionato per arrivarci, dal caos che si trova in spiaggia e, non ultimo, dalla pessima qualità del mare.

Il nostro fuorisede, al terzo mezzo pubblico cambiato, si è praticamente già pentito di aver preso quella decisione.

Vorrebbe tanto tornare indietro, in realtà quello che vorrebbe è essere in Calabria, ma questo è un altro discorso.

Cancello 1, cancello 2, cancello 3, ad Ostia ogni discesa al mare è un cancello.

Ed eccolo il nostro che prende posto vicino alla battigia, tra una selva di gambe, si ritrova nel bel mezzo di una partita di schiaccia sette.

La classica esperienza tremenda Ostia, la domenica.

Acqua torbida, marea umana in acqua, bar presi d’assalto.

Altro che stories Instagram e foto da mandare sui gruppi Whatsapp.

Ed eccola, infine, la tremenda decisione: fingersi morto per non ammettere agli amici di giù di essere andato a mare ad Ostia.

Finisce così questo sabato, con un finto suicidio.

Sempre meglio che dire a tutti di essere andato a fare il bagno in quel pantano