Uno dei lati dolci della pandemia, quello smartworking nato dalla necessità di contenere il contagio e nel tempo diventato un’ottimizzazione dei tempi di vita dei dipendenti, sembra stia volgendo al termine.

“Presto tutti gli impiegati pubblici torneranno nelle proprie postazioni”, aveva tuonato il ministro Brunetta a inizio settimana.

E parrebbe essere questo l’orientamento di tutto il Governo a guida Mario Draghi.

Finisce uno dei sogni del dipendente pubblico italiano: lavorare in panciolle, da casa, con ritmi e orari più sereni.

Eh sì, perché, bisogna dirlo, molti ne hanno approfittato di questa situazione, all’italica maniera, imboscandosi o peggio andandosene al mare.

Non avendo la lungimiranza di capire che questa riforma dettata dalla pandemia, se applicata in modo intelligente, poteva diventare una modalità di lavoro da sogno.

Magari con due giorni in ufficio e tre a casa.

Niente da fare: si rientra tutti alla propria scrivania, sotto stretto controllo del dirigente.

E per molti, dopo un anno e mezzo trascorso in pantaloncini e maglietta, sarà uno shock.

Motivo per cui la Regione Calabria starebbe pensando di instituire un servizio di supporto psicologico per i propri dipendenti.

“Dopo tutto questo tempo, rientrare in ufficio 7 giorni su 7 sarà un trauma paragonabile al primo anno di scuola”.

Solo che stavolta non ci saranno i nostri genitori a consolarci.

“Ci aspettiamo un’ondata di depressione e certificati medici”, confida un dirigente.

Perché, c’è da scommetterci, a rientrare saranno sempre gli stessi, quelli che da casa lavoravano davvero.

Mentre chi si imboscava sul divano o al mare, avrà la scusa pronta per rimandare ancora l’appuntamento con l’ufficio.