“Tu comincia a lavurari, chi u contrattu tu fazzu n’atri du misi”.

Quanti di noi, presentandosi in ufficio il primo giorno si sono sentiti dire questa frase!? E quanti di noi hanno aspettato quei due mesi, e poi un altro e poi altri tre, per poi sentirsi rilanciare ‘vediamo a settembre’ oppure ‘prima di Natale te lo faccio il contratto?’.

Dopo anni di attese, sotterfugi e scuse improbabili davanti agli ispettori del lavoro, finalmente oggi tutto questo diventa legale. È legge dello Stato.

È, infatti, il ‘Contratto a prometto’ il fulcro della nuova riforma del lavoro, uno strumento che permetterà di legalizzare le promesse dei datori di lavoro.

“Dai che poi il contratto te lo faccio”

“Sto mese sono andato sotto, ma il prossimo ti regolarizzo”

“C’è crisi, vieni a darci una mano che poi ti faccio un part-time” e poi via a sgommare col Maserati.

Promesse vaghe e largamente inverosimili, un ricatto e un miraggio – quello del posto di lavoro – per migliaia di giovani in una terra difficile come quella calabrese.

“Basta nero, non se ne poteva più” esordisce Carlo Calatafimi, manager di un importante azienda pubblicitaria di Cosenza, “avere in sede tutti questi ragazzi non regolarizzati, stare sempre in ansia per i controlli dell’Ispettorato. Finalmente possiamo lavorare sereni, avvalerci della collaborazione di professionisti senza oneri e incartamenti burocratici”.

Lavorare, dunque, senza contratto ma con la promessa di averne uno più o meno a breve.

Già, perché per il contratto a prometto è prevista una durata dai tre mesi ai due anni.

Chiaramente senza alcun obbligo di assunzione.

“Sblocchiamo questa economia in Calabria, basta taglieggiare gli imprenditori” chiosa il manager cosentino “questo mese ho il tagliando della Jaguar da pagare oltre che la rata del mutuo per la villetta a tre piani che ho acquistato a Rende. Abbiamo pure l’ascensore interno, sa quanto pago di manutenzione? Non glielo dico nemmeno, pure gli estintori mi fanno tenere in casa! Stato canaglia!

Largo al capitalismo e alle promesse legalizzate, dunque!

Che ai giovani e ai lavoratori si penserà al prossimo giro.

Non garantiamo però, anche questa è una promessa.